È TEMPO CHE LE DONNE SIANO PROTAGONISTE DEL CAMBIAMENTO
Come sappiamo, la pandemia ha - se possibile - esasperato le fragilità e le differenze di genere anche in Europa . In particolare in Italia c'è un dato che conosciamo bene e che ha sconvolto tutte (e speriamo anche qualche maschio). Solo qualche settimana fa l’Istat ha pubblicato i dati sull’occupazione in Italia. A dicembre, mese di solito intenso dal punto di vista dell’occupazione, gli occupati sono diminuiti di 101mila unità. Di queste 99mila sono donne, il 98%. Ci è molto dispiaciuto non sentire il nuovo capo del Governo riportare questo dato in Parlamento. A noi pare urgente quanto l’emergenza sanitaria. Certo si poteva immaginare che il gap di genere fosse ancora forte in Italia, ma queste cifre ci fanno inorridire.
Che cosa possiamo dire alle giovani donne per incoraggiarle nonostante tutto?
La maggiore penalizzazione delle donne nei periodi di difficoltà è purtroppo una costante, ma i dati diffusi dall’ISTAT sono davvero agghiaccianti. Sono dati che parlano di mancanza di adeguate politiche a sostegno delle madri lavoratici, di assenza di strumenti concreti per aiutare le donne sulle quali è ricaduta quasi interamente la gestione della DAD per i figli, ma sono anche dati che parlano di un retaggio culturale anacronistico che vede le donne più facilmente “sacrificabili” degli uomini nella loro dignità di lavoratrici e professioniste.
Non bastano le parole di circostanza per risolvere una situazione che ha assunto connotazioni di emergenza, occorrono azioni immediate e concrete. In Italia spesso la politica è associata nell’immaginario collettivo al mero desiderio di detenere il potere, anziché a quello che era e deve tornare ad essere: occuparsi della cosa pubblica tutelando i cittadini.
Pertanto, a mio avviso più che vuote parole bisogna dare alle giovani donne, ma direi alle donne di tutte le età, prospettive e dimostrazioni concrete che le cose possono e devono cambiare. Come? È importante che le cose cambino dal basso, che le donne si sentano protagoniste di una trasformazione che è in corso, ma che bisogna accelerare, è fondamentale che le donne si attivino politicamente, che entrino con forza nei processi decisionali.
L’Unione europea sta lavorando da tempo per l’attivazione di politiche a sostegno delle donne, in ambito professionale, sociale e civile. Ma il cambiamento imposto dall’alto è solo una parte: la restante dobbiamo farla noi, cominciando anche a capovolgere stereotipi di genere che spesso agiscono sotto la soglia della consapevolezza, ma che sono potenti propagatori di una cultura maschilista e patriarcale spesso superata solo in teoria, ma ancora presente nelle dinamiche quotidiane, soprattutto in determinati contesti. E che talvolta persino le donne, inconsapevolmente, contribuiscono a diffondere. Ci sono studi molto interessanti al riguardo che analizzano finanche il potere del linguaggio nella diffusione di una cultura che discrimina le donne. Le parole, infatti, determinano le azioni e i comportamenti, pertanto andrebbero usate con attenzione e spirito critico. Alle donne non posso che mandare un messaggio di dinamismo: studiate, preparatevi, eccellete. Il mondo ha bisogno del genio femminile in ogni settore, non lasciamo che i pregiudizi di genere condizionino i nostri talenti, facciamo sentire forte e chiara la nostra voce alle classi dirigenti affinché quello delle donne non sia un percorso ad ostacoli. Per questo occorre che il rilancio dell’occupazione femminile preveda anche strumenti di supporto fiscale, per cui la riforma del fisco annunciata dal presidente Draghi a mio modo di vedere dovrebbe includere due priorità: un fisco amico dell’ambiente, che premi il cittadino che adotta comportamenti virtuosi e penalizzi chi inquina; e un fisco amico delle donne, penalizzate spesso da tasse inique e anche dall’evasione fiscale, che ci priva di strumenti di supporto sociale che potrebbero essere indirizzati alla crescita dell’occupazione femminile. Per questo motivo sostengo e invito a sostenere la campagna Half of it che chiede al Governo che metà del budget del Recovery fund venga destinato in favore di iniziative a supporto delle donne.
Il messaggio più forte, infatti, va lanciato ai vertici: i dati dell’ISTAT parlano di un fallimento conclamato della politica, lontana anni luce da quell’ondata di rinnovamento ecologista e femminista che ha già travolto molti paesi europei e che mi auguro possa presto arrivare anche in Italia, con la sua scia di trasformazione e transizione verso una società ecologica, più giusta e competitiva per tutti, dove nessuno venga lasciato indietro. Tengo a sottolineare che per i Verdi europei la parità di genere è una delle priorità di lavoro per questa legislatura. Come è avvenuto, con successo, in altri settori come le politiche climatiche, il gruppo sta cercando di imporre nell’agenda europea dei concetti nuovi, a sostegno di un’azione concreta per le donne, per andare a sbloccare nodi cruciali come la spesa pubblica e l’accesso ai finanziamenti. Aggiungo una buona notizia sull’annoso tema della parità salariale. Proprio qualche giorno fa la Commissione europea ha presentato una proposta di Direttiva sulla trasparenza salariale, che introduce obblighi di informazione e comunicazione sui livelli di retribuzione da parte del datore di lavoro, sia verso le persone in cerca di lavoro sia verso i dipendenti; facilita l’accesso alla giustizia per i lavoratori e garantisce loro un indennizzo in caso di discriminazione retributiva. Seguiremo quindi ora questa direttiva nel percorso parlamentare.
Che cosa dovrebbe fare l’Europa per ottenere la fiducia e il supporto delle donne? E in che modo l’Unione si sta adoperando per garantire lavoro, i diritti dei lavoratori e soprattutto delle lavoratrici, lungo la filiera alimentare?
Il supporto e la fiducia si ottengono con i fatti. L’Europa sta facendo molto per le donne, ma occorre fare di più. Mi preme sottolineare, tra l’altro, che quando diciamo sta facendo molto per le donne, significa che sta facendo molto per l’intera società, perché le donne non rappresentano un’esigua minoranza da tutelare, ma sono oltre la metà della popolazione europea!
L’Europa, dal lontano 1985, cerca di attuare una politica di mainstreaming di genere, ovvero di adottare un approccio nell’elaborazione delle politiche che integri la dimensione di genere e tenga conto delle differenti esigenze, visto che le donne partono spesso da diverse condizioni rispetto agli uomini, mi riferisco al controllo del potere, alle risorse, ai diritti umani.
In particolare, i Verdi europei si sono spesi nel dibattito sul bilancio cercando di imporre nuovi principi di programmazione finanziaria che concretizzino la parità di genere in tutti i settori. Grazie alla nostra azione politica, in alcuni programmi di finanziamento europeo - ad esempio, il programma dedicato alla ricerca e all’innovazione, Horizon Europe - è stato incluso il “gender mainstreaming”, appunto il requisito di avere una valutazione specifica sotto il profilo di genere delle attività del programma - dalla preparazione all’implementazione al monitoraggio - in modo da assicurarsi che le azioni siano effettivamente dirette a eliminare le diseguaglianze e promuovere la parità e la diversità, in tutti gli aspetti della ricerca e dell’innovazione. A questo si accompagna l’idea del cosiddetto “gender budgeting”, cioè avere una metodologia di gestione del bilancio e delle spese più trasparente di quella attuale, che vada a indicare chiaramente quali linee di budget sono più rilevanti e più efficaci per promuovere l’eguaglianza e la diversità.
La PAC, la politica agricola comune, di cui si è tanto discusso negli ultimi mesi in Europa e, ahimè, molto poco in Italia, tra i vari punti deboli (come il sostegno agli allevamenti intensivi e la penalizzazione dei piccoli imprenditori) sebbene preveda iniziative specifiche per i giovani, non sembra riservare la stessa attenzione alle donne. Gli Stati membri però possono decidere di supportare l’agricoltura femminile, attribuendo un punteggio maggiore ai progetti se la richiesta di finanziamento viene da una donna. Ci stiamo battendo affinché la Commissione renda vincolante questa proposta, per una concreta attuazione del gender mainstreaming, troppo spesso relegato nel limbo delle buone intenzioni.
Il fatto che la voce più forte sollevata in difesa del pianeta e dell’ambiente venga da una giovane donna, conferma un dato Eurostat che evidenzia come le donne siano più inclini degli uomini a ritenere che la protezione dell'ambiente sia una priorità.
Secondo lei, c'è un contributo che può essere dato in particolare dalle donne nell'affrontare la crisi climatica e ambientale?
Certamente. Non a caso prendono sempre più piede i movimenti che si ispirano ad un ecofemminscmo di fondo, che significa soprattutto rinnovare le relazioni di potere, anche per quanto riguarda la natura, dominata e sistematicamente violata dall’uomo. Sono molte le donne in Italia che si spendono per una rappresentazione istituzionale delle istanze ecologiste e a loro va tutto il mio supporto. Greta Thunberg è diventata giustamente un simbolo di rinnovamento e anche di possibilità, perché dimostra come la determinazione e la perseveranza possano smuovere le folle e attivare i cittadini di tutto il mondo a sostegno di una causa comune, E’ come se Greta avesse fatto saltare un tappo liberando energie represse, che covavano sul fondo, perché è chiaro che un simile seguito dimostra come i problemi evidenziati da Greta fossero già diffusamente sentiti da milioni di cittadini, soprattutto dai giovani e dalle donne, due soggetti che ritengo, per capacità di coinvolgimento, entusiasmo e passione, in grado come pochi di dar vita ad un effetto domino, accendendo un faro sulle tematiche ambientali.
Allargando lo sguardo, è facile capire come questa crisi sanitaria, e la crisi economica e sociale che l’accompagnano, sia in realtà legata a doppio filo alla crisi climatica, e sia sintomo di un modello di sviluppo economico fallimentare. Per questo, l’identità economica della donna deve crescere e rafforzarsi in un nuovo modello di sviluppo, che sia sostenibile, equo e inclusivo. Penso quindi alla transizione all’economia circolare, per la quale le donne hanno già dato e possono continuare a dare un contributo significativo in termini di idee e di progettualità.
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